CAFFEPENSIERO: LAVORI IN CORSO??
Stiamo cercando di uscire con il N.1....
giovedì 22 marzo 2007
Video dalla cromosfera del Sole
Cliccate sul link qui sopra
Ho cercato sul sito della NASA la definizione di cromosfera. C'è solo in tedesco
dtb
L'etica al tempo degli scimpanzé
Per la scienza è il risultato dell'evoluzione di comportamenti animali. Un esempio?
"Consolano" i propri simili e affrontano la morte per non mettere in pericolo la specie

L'etica al tempo degli scimpanzé
"Morale eredidata dai primati"
Lo riferisce il New York Times, facendo il punto sugli ultimi studi scientifici che vedono la biologia affrontare sempre più da vicino un campo di studio, quello dell'etica, finora appannaggio esclusivo della filosofia.
Scimmie e primati adottano comportamenti di grande sensibilità ed attenzione nei confronti dei propri simili. E' stato osservato, ad esempio, che gli scimpanzè, che non sanno nuotare, affogano nel tentativo di salvare altri animali caduti in acqua. E un esperimento scientifico ha dimostrato che piuttosto che accaparrarsi del cibo tirando una catenella che contemporaneamente dava una scarica elettrica ad un altro animale, le scimmie rhesus preferiscono rimanere a digiuno per diversi giorni: esempi di comportamenti sociali indirizzati al benessere degli altri all'interno di un contesto sociale, che la scienza ritiene precursori in linea evolutiva della moralità umana.
Ad aprire la via a queste considerazioni è stato un famoso saggio di Edward O. Wilson, che nel 1975 scrisse "Sociobiology", in cui si rivendicava la "biologizzazione" dell'etica. Uno studio che ha dato il via ad una serie di elaborazioni successive. E lo scorso anno Marc Hauser, un biologo dell'evoluzione ad Harvard, nel suo "Moral minds" sosteneva che il cervello è geneticamente predisposto per l'acquisizione di regole morali.
Anche per il primatologo Frans de Waal della Emory University le radici della moralità umana possono essere rintracciate nei comportamenti delle scimmie. Se è difficile parlare di una vera e propria moralità nelle azioni dei primati, per de Waal il nostro senso etico discende direttamente da una serie di comportamenti sociali evolutisi nel tempo negli animali come conseguenza del vivere in gruppo. Senza questi "passaggi" precedenti, riscontrabili negli scimpanzè e nelle scimmie, il nostro senso etico sarebbe inspiegabile, sostiene lo scienziato.
De Waal è arrivato a queste conclusioni grazie all'osservazione diretta degli animali, iniziata negli anni '60. E ha individuato comportamenti specifici: dopo un combattimento fra scimpanzè, ad esempio, gli animali si affrettano a consolare quello che ha perso. Ma l'impulso alla consolazione implica un livello evoluto di empatia e di consapevolezza, che solo le scimmie antropomorfe e l'uomo sembrano avere: un precursore fondamentale per lo sviluppo di un senso morale.
In questi giorni di costrizione a casa e in futuro di stampelle mi sono dato a ricerche mediatiche.
dtb
mercoledì 21 marzo 2007
Appuntamenti di domani 22marzo
La mostra sarà presente tutta la giornata.
Dalle 14.30, sempre presso l'aula occupata si terrà il "Vinello letterario": caffè letterario con lettura di poesie e prose, il tutto accompagnato da musica dal vivo e da degustazioni enologiche.
Appello per Rahmatullah
Lo trovate anche sul sito di Peacereporter
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Questa mattina all'alba agenti della sicurezza afgana hanno arrestato il manager dell'ospedale di Emergency a Lashkargah, Rahmatullah Hanefi.
Rahmatullah ha la sola colpa di avere fatto tutto il possibile per salvare vite umane in immediato pericolo.
Emergency fa appello ai mezzi di informazione perché sostengano con forza la liberazione di Rahmatullah Hanefi, che ha contribuito in modo determinante al rilascio di Daniele Mastrogiacomo.
Emergency
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sabato 10 marzo 2007
Muri a pastello

Il tracciato era stato tracciato a pastello verde su una cartina gografica da un generale inglese...
venerdì 9 marzo 2007
mercoledì 7 marzo 2007
domenica 4 marzo 2007
L'età della pietra degli scimpanzè

Tooling around.
Primatologist Christophe Boesch of the Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology excavates a stone hammer in the Taï rainforest of Africa's Côte D'Ivoire.
Credit: University of Calgary
By Ann Gibbons
ScienceNOW Daily News
12 February 2007
A new study bolsters the idea that chimps came up with the tools themselves. Researchers working in Africa's Côte D'Ivoire (Ivory Coast) have discovered stone hammers made 4300 years ago that appear to be the handiwork of chimpanzees, not humans. The ancient age of the tools shows that they were made by chimpanzees because "we know this was happening when no farmers were around--it predates farming in the area by 2000 years," says lead author Julio Mercader, a Paleolithic archaeologist at the University of Calgary in Canada.
In excavations in the Taï rainforest, researchers have uncovered a trail of stone tools that are the first prehistoric evidence of a chimpanzee tool-kit, according to a report published online this week in the Proceedings of the National Academy of Sciences. Earlier, Mercader and primatologist Christophe Boesch of the Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Leipzig, Germany, had documented how chimpanzees had systematically transported specific types of stone to use as hammers to smash open nuts in the Taï forest. They also had proposed that chimpanzees might have an archaeological record similar to the Oldowan stone tools made by early human ancestors (Science, 24 May 2002, p. 1452). Last year, they systematically dug test trenches at ancient chimpanzee sites in the forest, leading to the discovery of stone tools from three areas.
Next, they had to prove that the stone hammers were actually tools and that they were chimp-made, not man-made. They found that the stones were too large for humans to use (but just right for chimpanzees); had starchy residue from nuts that chimpanzees eat, but living humans don't; were made from granitoid stone that chimpanzees use for tools today, but humans don't; and were unlikely to be the result of natural erosion.
The antiquity of the tools suggests that chimpanzee tool-making has been passed from chimpanzee to chimpanzee for more than 200 generations, the authors write. It raises the specter that some of the simple stone tools attributed to modern human ancestors at archaeological sites in Africa might also be the handiwork of chimpanzees, says Mercader. And it prompts questions about how early--and how often--stone tool-making arose in the human and chimpanzee lineages. "We now have evidence ... that there is a chimpanzee archaeological record--a Chimpanzee Stone Age," says primatologist William McGrew of the University of Cambridge in the United Kingdom.
dtb
venerdì 2 marzo 2007
3+2 e sei per strada
Solo la metà trova impiego a un anno dalla laurea. E' il peggior risultato dal 1999 a oggi
Nel 2006 hanno guadagnato, in termini reali, meno di 5 anni fa. L'indagine di AlmaLaurea
Laureati, colti e disperati
è l'esercito dei senza lavoro

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Iperqualificati, con qualche sogno in testa e sempre meno pagati. Destinati a emigrare, pur di evitare la disfatta. I laureati mostrano sul loro volto i segni delle sempre più acute contraddizioni di un intero paese dove il merito e le qualifiche non vanno quasi mai di pari passo con le opportunità e i compensi. Sul loro volto sono sempre più evidenti i segni del disagio provato di fronte a quella porta, quasi sempre socchiusa, che dovrebbe portarli al lavoro e alla maturità.
Quando una ragazza o un ragazzo con in tasca la laurea cerca un posto, pare di vedere un gigante che prova ad entrare attraverso la piccola porticina di una minuscola casa di lillipuziani. Loro sono tanti mentre sembrano sempre più inadeguati i posti di lavoro che il sistema economico e il mondo delle aziende italiane mette a disposizione. Addetti per i call center o cassieri di negozio che siano. Con il paradosso, che a questo punto pare quasi logico, che sono proprio i più preparati, quelli che prendono i voti più alti di tutti a ritrovarsi con il più basso tasso di occupazione. Tanto che a un anno dalla laurea, trovano lavoro solo quattro su dieci di quelli che hanno preso 110 e lode. Con la triste constatazione che nel 2006 un laureato guadagna al mese, in termini reali, meno di quanto percepiva cinque anni fa il fratello maggiore.
Fenomeni conosciuti si dirà, ma il fatto è che quest'anno le cose sono andate ancora peggio. Tanto che per trovare un impiego non è neppure sufficiente aspettare un anno. I dati del triste record dicono che dopo la fatidica laurea, a un anno dal giorno della discussione della tesi, dai festeggiamenti e dai sorrisi e dalle congratulazioni, trova lavoro solo il 45 per cento dei laureati "triennali" (erano il 52 per cento l'anno scorso) e il 52,4 per cento dei laureati pre-riforma, ovvero il dato più basso dal 1999 (vedi tabella). I dati sono quelli della nona indagine sulla "Condizione Occupazionale dei laureati italiani" presentata (vedi la diretta) a Bologna da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui aderiscono 49 università italiane. Ed è forse utile sapere che il convegno prevede per la mattina di sabato (3 marzo) anche una tavola rotonda (la presentazione e la tavola rotonda possono essere seguite in diretta sul sito di Almalaurea) che dibatterà su questi temi e a cui parteciperanno anche Fabio Mussi, il ministro dell'Università, e Cesare Damiano, il ministro del Lavoro, insieme ad Andrea Cammelli, il direttore di Almalaurea, e il presidente Crui Guido Trombetti.
Secondo l'indagine, l'instabilità che caratterizzava già molti degli impieghi degli anni scorsi si è fatta ancora più acuta. Sia per i laureati "triennali" che per quegli ultimi che stanno uscendo dal percorso previsto dal vecchio ordinamento. Solo un giovane su tre che ha conseguito una laurea breve - e ha trovato un impiego - è riuscito a siglare un contratto a tempo indeterminato. L'anno scorso l'impresa era riuscita al 40 per cento di loro. Stessa storia per i giovani che hanno ultimato il percorso di laurea del "vecchio ordinamento", la quota di chi è riuscito ad avere un contratto stabile è scesa al 38,4 per cento. Il lavoro atipico dal 2001 a oggi è cresciuto di ben dieci punti percentuali.

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C'è poi lo stipendio. Quel sostegno che dovrebbe permettere alle nuove generazioni di prendere iniziative e decisioni, di mettere su famiglia, di provare a superare la sindrome di Peter Pan. Quel sostegno, è sempre più esile. I giovani laureati del post-riforma si ritrovano in tasca a fine mese solo 969 euro. Meno di quanto non fosse l'anno scorso (vedi tabella). Prendono qualcosa in più i laureati pre-riforma che a fine mese arrivano fino a 1.042 euro. Poco più dell'anno scorso ma, al netto del costo della vita, ancora meno di quanto un neolaureato guadagnava cinque anni fa.
Senza dire che l'Italia vanta il minor numero di laureati che lavora a cinque anni dalla laurea (l'86,4 per cento contro una media europea pari all'89 per cento). Scorrendo i dati dell'indagine di AlmaLaurea si ricava la triste conferma che nel cuore delle nuove generazioni, anche lì dove è opportuno che l'Italia sia più moderna e vicina all'Europa, covano e crescono le stesse antiche contraddizioni e disparità che gravano da tempo infinito sul corpo del malato Italia.
Le donne sono meno favorite rispetto agli uomini, hanno un tasso di occupazione più basso, sono più precarie e guadagnano meno dei loro colleghi uomini (vedi tabella). A un anno dalla laurea lavora il 49,2 per cento delle laureate pre-riforma contro il 57,1 per cento degli uomini. E il gap salariale nel tempo non fa che crescere, tanto che a cinque anni dalla laurea le donne guadagnano un terzo meno di quanto non prendono gli uomini. Quanto alla precarietà a un anno dalla laurea il 52 per cento delle donne ha un contratto atipico contro il 41,5 per cento degli uomini. E la disparità è ancora più acuta per le laureate "triennali", visto che solo il 34 per cento delle donne ha un impiego stabile contro il 48 per cento dei loro colleghi uomini.
Stesso discorso per le disparità territoriali. Nel 2006 sei laureati del Nord su dieci trova lavoro dopo un anno mentre per le regioni del Sud le cifre si fermano al 40 per cento. Ovvero le stesse quote nel lontano 1999. Senza dire che a cinque anni dalla laurea, i giovani del Mezzogiorno prendono 1.167 euro al mese mentre i ragazzi del Nord arrivano a 1.355 euro al mese.
Non c'è da stupirsi se allora molti di loro non si sentono valorizzati per quello che valgono e, seppure a malincuore, decidono di muoversi oltre confine per trovare migliori occasioni. All'estero, lì dove sembrano trovare rifugio e compenso. I laureati italiani che lavorano fuori dai confini nazionali, a cinque anni dalla laurea, arrivano a guadagnare quasi 2 mila euro, ovvero il 50 per cento in più di quanto non accada alla media complessiva dei laureati. Se non si mette mano a questo problema, se non si trova un articolato piano per valorizzare i talenti che escono dalle nostre facoltà, poco si potrà fare per dare slancio al nostro paese.